Il giorno
27/11/2017, noi alunni di 3F, 3E, 3A, 3D, 3H, siamo andati a visitare la Galleria
Borbonica a Napoli. Pochi
giorni prima dell’uscita didattica, è venuto a scuola uno speleologo a prepararci
alla visita e a raccontarci le imprese pericolose, ma anche divertenti e
rocambolesche, che aveva vissuto in prima persona all’interno della galleria
durante le fasi di scavo.
La storia che più ci ha emozionato è stata quella di
Walter Waschke, un ragazzo che, durante la seconda guerra mondiale, aveva
lasciato il suo nome inciso su una delle pareti della galleria, utilizzata
allora come rifugio durante i bombardamenti. I volontari, incuriositi dal nome
e convinti che si trattasse di un tedesco, erano letteralmente impazziti per
risalire all’identità del ragazzo. Finalmente, dopo due anni di ricerche
intense, uno dei volontari di nome Paolo, “diversamente magro” e perciò
soprannominato Paolone, riuscì a trovare, in una rubrica telefonica, sia l’indirizzo
che il numero di telefono dell’ormai ottantunenne Walter Waschke, che si mostrò
molto sorridente e simpatico con i volontari e quando tornò nella galleria, di
fronte al suo nome, cominciò a piangere. Raccontò ai volontari che allora,
essendo solo un bambino, non prendeva sul serio la guerra e, quella galleria,
per lui era solo un luogo dove giocare e incontrarsi con amici e amiche. Ma su
quella parete c’era anche un’altra scritta che ci ha molto colpito: “NOI VIVI”.
Quello era un posto dove ripararsi da morte certa, quindi quelle scritte erano
testimonianza della sopravvivenza alla morte ed alla distruzione.
La Galleria
fu commissionata da Ferdinando II di Borbone all’architetto Enrico Alvino, per
collegare, tramite un traforo sotterraneo, il Palazzo reale a piazza della
Vittoria. Dato che, nel 1848, il popolo napoletano chiedeva una Costituzione e
il sovrano non voleva concedergliela, l’esercito reale aveva bisogno di una
rapida via di fuga per proteggere il re e la sua famiglia in caso di rivolte. La
galleria intercettò il percorso di cisterne e cunicoli. Le cisterne erano
formata da vasche profonde 5-6 m circa ed erano di tufo (una roccia porosa)
rivestite da un impasto impermeabile. Esse erano degli acquedotti usati dagli
antichi, che prendevano l’acqua tramite dei vasi di terracotta calati nei pozzi.
Quando c’era un problema nei pozzi e a fare pulizie, si calavano i pozzari (degli
idraulici del tempo). Ne morivano molti e fu disegnata su una parete di un
pozzo,una croce che rappresentava una chiesetta in onore di Santa Barbara,
protettrice dei pozzari. Da di essi è derivata anche una leggenda, ovvero “O’
munaciell”. La leggenda narra che i pozzari avevano uno stipendio minimo e per
guadagnare di più rubavano. Per coprirsi il viso, usavano un mantello con un
cappuccio, proprio come i monaci, e, quando era sera si intrufolavano nelle
case e rubavano. Erano molto abili, quindi quando compievano i furti era come
se fossero invisibili. Ancora oggi i Napoletani, quando scompare qualcosa in
casa misteriosamente dicono che sia stato “O munaciell”.
Gli scavi furono
interrotti per motivi economici e per la decadenza dei Borbone e l’arrivo delle
truppe piemontesi. La galleria fu letteralmente dimenticata. Essa fu
“riscoperta” nel periodo della seconda guerra mondiale, tra il 1939 e il 1945. Furono
abolite le cisterne e si crearono delle aree di ricovero. Ci sono 90 gradini
per arrivare nei rifugi e c’era chi moriva, perché, attraverso di essi
scendevano 6.000 persone in dieci minuti e
c’era chi cadeva e veniva calpestato. Ci sono in tutto 15 bagni e c’è
anche un impianto elettrico con delle luci da 1,5 v, più o meno quelle che
usiamo noi per il presepe. I letti erano di legno e le pareti erano dipinte di
bianco, per rendere più luminoso l’ambiente. Per i bombardamenti c’era un
codice, ovvero che si poteva bombardare solo di notte e dal suono della sirena
si doveva aspettare dieci minuti. Non tutti lo hanno rispettato, come ad
esempio gli Americani. Durante
la visita, abbiamo anche ascoltato la riproduzione della sirena che dava l’allarme
dell’inizio degli attacchi aerei. Sembrava che prendessero vita i racconti di
nonna, che ha vissuto in prima persona gli orrori della guerra, scappando in
questi rifugi ogni volta che suonava l’allarme. Trascorreva giornate intere lì
sotto aspettando di poter riabbracciare i propri cari, purtroppo non sempre si
era così fortunati da rivederli tutti.
Dopo la guerra mondiale fino la 1970, la
galleria fu utilizzata come Deposito Giudiziario Comunale, come deposito dei
veicoli sequestrati dalla polizia. La visita mi è piaciuta molto e spero che il
mio articola vi abbia tanto incuriosito da decidere di andare presto a visitare
la galleria borbonica. Nel video potete ammirare alcune immagini della Galleria.
Le prime foto ritraggono momenti a scuola in cui lo speleologo è venuto a
prepararci alla visita della Galleria.
Annachiara Borriello, Siria Di Maro III F, Angela Riccio III E
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